
Concludevo, sabato scorso, con una riflessione sul senso di un presbiterato conferito a 25 anni, e sulle ipotetiche conseguenze di una revisione dello stesso.
Quella riflessione spinge, in realtà, ancora più a monte, all’idea stessa di «vocazione», non genericamente intesa, ma come “chiamata a un compito ministeriale”, “vocazione a un ministero”.
La “chiamata”, in senso generico, è normalmente intesa come un dono particolare, una grazia singolare, un appello rivolto direttamente da Dio a una donna, a un uomo. Dio chiama alcuni a svolgere compiti particolari per il bene del mondo e della Chiesa. Non ha fatto così anche Gesù con gli apostoli? Li ha chiamati a sé per un progetto preciso. Definita la questione, occorre però soffermarsi su una serie di problemi che essa inevitabilmente apre e che, se non ben intesi, portano a una confusione interiore che è tra le cause, secondo il mio parere, di molte delle drammatiche vicende legate al ministero in questi ultimi decenni.
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