Una cosa un po’ diversa, per una volta, ma mi è piaciuta e un po’ di teologia naif non fa male ogni tanto
buona visione
Una cosa un po’ diversa, per una volta, ma mi è piaciuta e un po’ di teologia naif non fa male ogni tanto
buona visione
(1858-1916) Lettera a Padre Girolamo. Da Barrat D.E.R., Charles de Foucauld e la fraternità, Paoline, Milano 1991.
“Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvici, per ricevere la grazia di Dio: è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio, e che si vuota completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo. Gli ebrei sono passati per il deserto; Mosè vi è vissuto prima di ricevere la sua missione; san Paolo, san Giovanni Crisostomo si sono anch’essi preparati nel deserto… E’ indispensabile… E’ un tempo di grazia, è un periodo attraverso il quale deve necessariamente passare ogni anima che vuol portare frutti le sono necessari questi silenzi, questi raccoglimenti, questi oblii di tutto il creato in mezzo ai quali Dio stabilisce il suo regno e forma in essa lo spirito interiore. la vita intima con Dio, la conversazione dell’anima con Dio nella fede, nella speranza e nella carità. Più tardi, l’anima produrrà frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in essa l’uomo interiore. Se questa vita interiore è nulla, per quanto zelo si possa avere, buone intenzioni e molto lavoro, i frutti saranno nulli: è una sorgente che vorrebbe dare la santità agli altri, ma non può perché non la possiede: si dà solo quello che si ha.
Da Le sfide missionarie del nostro tempo, Milano, 1994, pagg. 32ss.
Ogni cultura è un linguaggio. Anche la cultura e la teologia cristiane inevitabilmente passano attraverso il linguaggio. I contenuti non sono separabili dal linguaggio che li esprime. Questo sembra, ormai, un dato assodato. Ma le conseguenze di queste affermazioni non sono per nulla semplici, e non sono evitabili: il linguaggio della fede non fa eccezione. Deve coniugarsi con la cultura che lo esprime. Il testo seguente è una delle possibili messe a tema. E quella africana è solo una delle possibili esemplificazioni.
“Si dice molto spesso che dobbiamo cominciare ad esprimere il messaggio evangelico, la Buona Novella data da Dio, in un linguaggio accessibile a tutti. Ma questo non è che il primo gradino dello sforzo che dobbiamo compiere se vogliamo evolvere verso ciò che accadrà in futuro. Bisogna andare oltre la semplice traduzione. E’ stato … pubblicato un catechismo universale della Chiesa. Non basterà averlo tradotto in tutte le lingue per pensare di aver compiuto un’opera di inculturazione in Africa. Bisognerà andare oltre.
Continua a leggere “Per ogni lingua si da una teologia (o no?)”
I temi del Sinodo appena concluso non sono certo nuovi. La questione dell’evangelizzazione appartiene alla storia stessa della Chiesa. Di seguito, una riflessione di uno dei più apprezzati e originali teologi africani.
Da Le sfide missionarie del nostro tempo, Milano, 1994, pagg. 117ss.
“Vediamo… che cosa può comportare la prospettiva di una missione nell’ottica dell’inculturazione.
a) Inculturare significa adottare la civiltà dell’altro
Senza essere attaccati “mordicus” alla propria civiltà. Come cittadini del mondo. In effetti, nella linea dell’incarnazione, la missione non può farsi che nel rispetto dell’uomo da evangelizzare: rispetto dei suoi valori e della sua cultura. Dio ha rispettato l’uomo sino in fondo. Egli si è fatto ebreo, non perché l’essere tale fosse necessario per la salvezza, ma perché ha voluto così e perché non esiste un uomo “universale” che non abbia radici da qualche parte… Lo straniero è necessario nelle strutture di organizzazione di ogni Chiesa locale: egli dimostra che il Vangelo è sempre ricevuto da qualche parte, qui o altrove. Ma questo è necessario in entrambi i sensi: nel senso degli europei in Africa, e in quello degli africani in Europa…
b) Inculturare significa partecipare alle stesse lotte
Continua a leggere “L’evangelizzazione da una prospettiva africana”
Da Le sfide missionarie del nostro tempo, Milano, 1994, pagg. 213ss.
“Che cosa significa essere donna in Africa?
Si tratta essenzialmente di essere “sposa” e “madre”. La donna si realizza nel matrimonio, diventa adulta e responsabile della sua casa e nella società. Il matrimonio e la maternità rendono la donna “degna” e “rispettabile” socialmente. Essere “mamma” significa accogliere e portare la vita in sé, far crescere e proteggere la vita, partecipare, con il cosmo, alla creazione della vita. Ogni donna è potenzialmente una “mamma”, la crescita della vita biologica data alla nascita deve continuare nella vita di comunità dove le zie, le “yaya”, partecipano all’educazione, alla protezione della vita.
Continua a leggere “Donna e cristiana in Africa: cosa significa?”
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