Pierre-Françoise de Béthune, L’ospitalità, San Paolo, pp. 151-152
Chi sostiene che il dialogo interreligioso sia un rischio, ha perfettamente ragione. Ma si tratta di un rischio che, oggi, non ci si può esimere di correre.
Il dialogo interreligioso non è soltanto un dovere morale in favore della giustizia e della pace, ma è una via spirituale. Non è soltanto un’esigenza che viene ad aggiungersi a tanti altri obblighi, ma è un’opportunità, un’opportunità per la fede.
La maggior parte dei testi ufficiali sul dialogo interreligioso parla essenzialmente della collaborazione per la pace. Ma questa polarizzazione maschera anche, mi sembra, un’altra paura, quella di un pericolo più interiore, che minaccia la fede di quelli che entrano in dialogo. L’impegno deciso nell’incontro interreligioso, che va al di là della cooperazione socio-politica o dello studio oggettivo delle religioni, espone di fatto il credente ai rischi del relativismo. […] Molti infatti pensano che non bisogna impegnarsi troppo a fondo in una tale impresa. Ogni incontro rischia effettivamente di cambiarci. Accogliere l’alterità, altera. Ma […] senza una totale determinazione su questa via, l’autentico incontro non ha veramente luogo e, poiché la necessità del dialogo è tuttavia ineluttabile, si è allora tentati di accontentarsi delle parole.
I documenti del Concilio Vaticano II invitano esplicitamente i cristiani a rispettare le altre religioni. Ma quando si evita di incontrarle come tali, cioè a livello della preghiera e della ricerca spirituale, per fare uno scambio soltanto sulle questioni scottanti del mondo attuale, si rischia di considerarle solo come istituzioni culturali, organismi filantropici o potenze politiche. Se dunque questo rispetto sincero non è sostenuto da una vera stima per i valori propriamente religiosi, resta perlomeno incompleto.