Tutti scrivono al Papa, il Papa telefona a tutti, i twitter non sono più oggetto di dileggio, anche Crozza ha dovuto adattarsi dopo un maldestro tentativo… Insomma: uno degli elementi più critici nel rapporto tra Chiesa e mondo negli ultimi decenni, ossia la capacità di comunicazione e di dialogo, sembra improvvisamente vivere una nuova giovinezza. Che Francesco sia un uomo dalla comunicazione diretta, chiara, comprensibile, umanamente feconda è evidente a tutti. Ma che in questo dialogo apertissimo venisse trascinato anche Benedetto XVI probabilmente era meno facile da profetizzare: se però anche il Papa emerito comincia ad avere uno scambio epistolare con uno come Odifreddi, allora vuol dire che davvero qualcosa è cambiato. E lo dico senza ironia (facciamo così: con poca ironia, altrimenti chi mi conosce pensa che stia mentendo…).
Ora, al di là delle lettere e delle telefonate, che fanno molto gossip e offrono materiale per tutte le riviste, da Novella2000 a Famiglia Cristiana, da Miracoli a Credere, c’è un fenomeno più sottile che non va trascurato: non si tratta solo di simpatia e capacità di comunicazione. Anche papa Giovanni Paolo II era simpatico ai più e molto comunicativo: lo dice la santità proclamata a furor di popolo e a furor di media. Ma qui c’è qualcosa di diverso: la comunicazione ai tempi di papa Woytila era a senso unico; la simpatia e immediatezza dell’uomo coprivano l’autoreferenzialità dei contenuti, attraverso i quali la Chiesa veniva lentamente ricondotta a un’epoca di trionfalismo, assolutezza e distanza dal mondo. Giovanni Paolo II non dialogò mai con il mondo (dialogò, ma solo superficialmente, con le religioni altre) né con le confessioni cristiane separate: ripropose, invece, con linguaggio (apparentemente) più moderno la distanza tra Verità (sua e della Chiesa) e menzogna (di tutti gli altri, non “adattati”).
Il pontificato di Ratzinger, il quale non aveva un comunicativa all’altezza, svelò che il re era nudo: senza mutare in alcun modo i contenuti del pontificato precedente, ma svuotandolo della carica di simpatia con cui era rivestito, Benedetto XVI (che a differenza di Woytila non stava simpatico a nessuno), pur agendo per una riforma seria della Curia e della struttura ecclesiale, divenne vittima di tutto quel che non si era potuto dire al predecessore; Ratzinger, in qualche modo, in breve catalizzò contro se stesso l’impotenza repressa degli avversari della Chiesa.
Ora qualcosa è cambiato: non nei contenuti della fede (Francesco, già l’ho sottolineato, non cambierà dogmi e morale, con buona pace di chi si attende sacerdozio alle donne, fine del celibato dei preti e mutamenti sulla dottrina dei divorziati risposati), ma nell’accettazione del dialogo. Oggi, col Papa, si può parlare, questo è il messaggio che Francesco invia al mondo e alla Chiesa; oggi il Papa ha capito che anche lui deve ascoltare. Oggi, la Chiesa “mater et magistra”, può tornare a essere protagonista di ascolto, di colloquio, di messa in gioco, e quindi anche di ridefinizione dei propri contenuti. Molti teologi e preti, in questi anni, hanno taciuto affermando che il loro silenzio era dovuto al fatto che non c’era possibilità di dialogo interno alla Chiesa, di ascolto da parte delle alte sfere… Ora questo “impasse” sembra venire meno. Il dialogo è riaperto; bisognerà vedere se i contenuti e gli interlocutori saranno all’altezza. Paradossalmente, fino a oggi, l’apertura è stata accolta più dagli atei che dai credenti. E questo non è, invece, un buon segno.