Archimandrita Kallistos
in Sobornost, 3- 1975
La quiete interiore, quando è intesa come custodia del cuore e ritorno in sé, implica un passaggio dalla molteplicità all’unità, dalla diversità alla semplicità e alla povertà spirituale. Per usare la terminologia di Evagrio, la mente deve diventare “nuda”. Questo aspetto dell’esychia è reso esplicito in un’altra definizione di S. Giovanni Climaco: “Esychia è mettere da parte i pensieri”. In ciò egli adatta una citazione di Evagrio “preghiera è mettere da parte i pensieri”. La esychia implica un progressivo autosvuotamento, in cui la mente è spogliata di tutte le immagini visuali e di tutti i concetti umani, e così contempla in purezza il mondo di Dio. L’esicasta, da questo punto di vista, è uno che è avanzato dalla “praxis” alla “theoria”. Dalla vita attiva alla contemplativa.
S. Gregorio dei Sinai contrappone l’esicasta al “praktikos” e continua a parlare “degli esicasti che son contenti di pregare a Dio solo nel loro cuore e di astenersi dai pensieri”. L’esicasta, quindi, non è tanto uno che s’astiene dall’incontrare e parlare con gli altri, quanto chi, nella sua vita di preghiera, rinuncia ad ogni immagine, ogni parola, e ragionamento discorsivo, e che è “sollevato al di sopra dei sensi nel puro silenzio”.
Questo “puro silenzio”, sebbene sia denominato “povertà spirituale”, è lontano dall’essere una semplice assenza o privazione. Se l’esicasta spoglia la propria mente da ogni concetto di provenienza umana, per quanto sia possibile, il suo scopo in questo “autoannullamento” è del tutto costruttivo. Che egli possa essere riempito dall’Onnicomprensivo senso della presenza Divina, è fatto notare bene da S. Gregorio il Sinaita: “Perché dilungarsi nel parlare? La preghiera è Dio, che fa ogni cosa in ogni uomo”.
“La preghiera è Dio”; “non è tanto qualcosa che io faccio, ma qualcosa che Dio sta facendo in me” … “non io, ma Cristo in me” .
Il programma dell’esicasta è delineato esattamente nelle parole del Battista riguardo al Messia: “Egli deve crescere ma io diminuire”.
L’esicasta cessa le sue attività, non per essere ozioso, ma per entrare nella attività di Dio. Il suo silenzio non è assenza, non è negativo – una pausa vuota tra due parole, un breve riposo prima di riprendere il discorso – ma del tutto positivo; un’atteggiamento di attenzione alerte, di vigilanza, e soprattutto di ascolto. L’esicasta è per eccellenza colui che ascolta, che è aperto alla presenza di un Altro: “Stai in quiete e sappi che io sono Dio” .